L’orizzonte delle elezioni regionali è ormai vicino. E l’attuale presidente Mercedes Bresso, da scaltra e navigata politica, è perfettamente conscia del fatto che i piemontesi non abbiano affatto gradito questi cinque anni con lei alla guida della Regione. Sono stati infatti anni piuttosto inconcludenti, grigi, senza entusiasmo, senza slanci , una stanca routine senza soluzione di continuità. In altre parole, è accaduta la cosa peggiore che potesse capitare alla nostra regione: si sono sprecate occasioni che sarebbero potute servire per rinforzare il Piemonte, per farci affrontare meglio la crisi ed per essere più reattivi nel cogliere le opportunità di ripresa. Per fare della facile demagogia politichese, si potrebbe dire che la compagine Bresso è stata anche litigiosa in questi anni, perché molto eterogenea e perché composta da partiti con idee opposte su tanti temi importanti. Ma dire questo sarebbe riduttivo. La verità è invece che, con estremo cinismo, chi ha non governato e non sta governando il nostro Piemonte ha scelto consapevolmente fin dall’inizio questa opzione: già dalla scorsa campagna elettorale il centro sinistra ha infatti scelto deliberatamente il potere al posto del programma, l’immobilismo invece delle riforme. La Bresso e suoi alleati hanno stipulato un vero e proprio ‘patto col diavolo’: stiamo insieme a tutti i costi, anche a costo di non governare. E così purtroppo è andata. Ma quanto sembra profilarsi nel centro sinistra oggi pare, se possibile, qualcosa di ancora più scellerato a livello politico, ovvero una riedizione del ‘patto’ del 2005 con l’aggiunta dell’ingresso dell’Udc nel ‘club pro Bresso’. Questa alchimia,che porrebbe Udc e partiti dell’ultra sinistra fianco a fianco, è la certificazione ufficiale del fallimento della Bresso come Presidente della Regione, oltre che il termometro migliore della sua grande paura per le prossime elezioni: se avesse ben governato, se fosse ben voluta dai cittadini e vicina alle vere istanze dei piemontesi, che bisogno avrebbe Bresso di mettere insieme una simile congrega? Domande retoriche davvero queste, perché tutti in realtà conoscono le risposte. Credo comunque sia sufficiente mettersi per un minuto nei panni di un elettore dell’Udc per capire che il giochetto non funzionerà e che gli elettori del partito di Casini non supporteranno la compagine Bresso. Un bel dilemma sarà anche quello che dovranno affrontare i dirigenti scudo-crociati piemontesi: andare con Bresso e ‘compagni’ significherà infatti perdere un sacco di voti. Sarà comunque molto interessante vedere in campagna elettorale i vertici Udc alla prese col ‘no alla Tav’, ‘no al nucleare’, no al sostegno degli istituti privati, no all’intervento privato nella Sanità, o coi sì alla pillola abortiva, ‘sì al Gay Pride’, sì al sostegno di famiglie diverse da quella naturale e, magari, anche sì ad un Piemonte capofila sulle procedure di eutanasia. Pdl e Lega hanno dimostrato nelle ultime tornate elettorali di essere invece una squadra vincente e se non altro compatta sui temi politici di fondo, una compagine capace di proporsi con programmi chiari e poi di governare con buon senso. In questo anno e mezzo di governo , del resto, sono state fatte tanto cose: prima pietra del federalismo fiscale ; stretta sull’immigrazione clandestina ed azzeramento degli sbarchi; pacchetto sicurezza con maggiori poteri ai sindaci. Anche su prove difficili come il terremoto in Abruzzo e la crisi economica, i partiti che sostengono questo esecutivo hanno dimostrato serietà, affidabilità e concretezza. Ma la vera arma in più che in Piemonte Lega e centro destra hanno per battere la Bresso credo sia la voglia di cambiare, di riformare, di svecchiare una Regione che oggi è quasi irriconoscibile. Proprio col completamento del federalismo le Regioni non potranno più star sedute e lasciar trascorrere le giornate come ha fatto Mercedes Bresso, ma dovranno darsi da fare il doppio rispetto al passato, perché saranno finalmente padrone del proprio destino.
ROBERTO COTA
venerdì 11 dicembre 2009
venerdì 4 dicembre 2009
Referendum Svizzera su Minareti - "Il Giornale del Piemonte" 4 Dicembre 2009
Il dibattito politico di questa settimana si è giustamente concentrato sul voto referendario svizzero che ha decretato uno stop alla costruzione di nuovi minareti sul territorio elvetico. Stupisce, soprattutto chi da sempre è abituato ad ascoltare la gente, la sorpresa destata dall’esito di questo voto, che ha in realtà ribadito un concetto molto semplice: il legittimo diritto degli svizzeri di poter essere ancora padroni a casa loro. Un voto che si spiega anche come difesa di un’identità messa oggettivamente sottopressione da decenni di massiccia immigrazione. Giusto quindi che con questo referendum si siano voluti mettere dei paletti nei confronti di chi è arrivato per ultimo. La pacifica convivenza si assicura anche con regole chiare: chi arriva nelle nostre città non può pensare di imporre la propria cultura dove da secoli esistono altre tradizioni ed altri costumi.
C’è chi ha osservato che i cantoni svizzeri dove ha vinto il ‘Si’ ai minareti siano proprio i cantoni dove i minareti ci sono già: non per caso saranno le zone a maggiore presenza musulmana? Ed è proprio questo è il secondo dato su cui occorre riflettere attentamente, perché significa che laddove l’islam avanza, poi, alla lunga, detta legge. E’ bene pensarci due ed anche tre volte, quindi, prima di parlare in libertà di concedere la cittadinanza facile o il voto ai non cittadini qui a casa nostra, anche perché il giorno dopo, ad esempio in alcuni quartieri di Torino, avremmo il partito islamico al governo. E’ certamente semplice fare i ‘buonisti’ in un salotto televisivo, un po’ più complicato diventa invece vivere sulla propria pelle le conseguenze di questo ‘buonismo’. La Lega continua a credere che la politica debba preoccuparsi di dare prima risposte ai nostri cittadini e poi, in un secondo momento, pensare eventualmente a temperare le istanze dei nostri con quelle degli ultimi arrivati. Questo crediamo sia un modo giusto di fare politica, benché qualcuno continui a voler forzare le cose, ragionando a fattori invertiti.
Sull’edificazione a casa nostra di luoghi di culto di religioni che non abbiano stipulato accordi con lo Stato, la Lega ha presentato una proposta di legge che prevede il referendum comunale e di quartiere come fondamentale strumento di scelta democratica. Se si chiede attraverso referendum il parere dei cittadini sul passaggio di un tram in una via, perché non si dovrebbe fare altrettanto per una struttura ben più impattante sulla vita di un quartiere come una nuova moschea? Occorre poi dire un’altra verità: secondo uno studio del ‘Centro Studi Peirone’ sull’islam in Piemonte solo il 4-5% dei musulmani frequenterebbe in realtà le moschee; di contro, il 26% dei musulmani del Piemonte dichiara di frequentarle. Il gioco è evidente, ma è anche culturalmente spiegabile: nell’islam la religione si confonde ed anzi coincide con la politica. Così la moschea, in un Paese di ‘infedeli’, diventa strumento di rivendicazione politica e culturale, più che indispensabile luogo di culto.
Non credo, in conclusione, che il voto svizzero vada valutato come voto di paura, ma semmai come voto di autocoscienza e di riaffermazione di un’identità. Bisogna infatti sfatare la tetra profezia secondo cui l’immigrazione sarebbe un fenomeno ineluttabile a cui rassegnarsi. Il voto svizzero dice semmai il contrario e di come sia invece possibile, ed anzi doveroso, difendere la nostra identità attraverso i nostri strumenti di civiltà, ovvero quelli della democrazia. Occorre però che le forze politiche tengano in maggior conto le istanze dei nostri cittadini, per evitare poi di stupirsi quando questi si esprimono liberamente.
ROBERTO COTA
C’è chi ha osservato che i cantoni svizzeri dove ha vinto il ‘Si’ ai minareti siano proprio i cantoni dove i minareti ci sono già: non per caso saranno le zone a maggiore presenza musulmana? Ed è proprio questo è il secondo dato su cui occorre riflettere attentamente, perché significa che laddove l’islam avanza, poi, alla lunga, detta legge. E’ bene pensarci due ed anche tre volte, quindi, prima di parlare in libertà di concedere la cittadinanza facile o il voto ai non cittadini qui a casa nostra, anche perché il giorno dopo, ad esempio in alcuni quartieri di Torino, avremmo il partito islamico al governo. E’ certamente semplice fare i ‘buonisti’ in un salotto televisivo, un po’ più complicato diventa invece vivere sulla propria pelle le conseguenze di questo ‘buonismo’. La Lega continua a credere che la politica debba preoccuparsi di dare prima risposte ai nostri cittadini e poi, in un secondo momento, pensare eventualmente a temperare le istanze dei nostri con quelle degli ultimi arrivati. Questo crediamo sia un modo giusto di fare politica, benché qualcuno continui a voler forzare le cose, ragionando a fattori invertiti.
Sull’edificazione a casa nostra di luoghi di culto di religioni che non abbiano stipulato accordi con lo Stato, la Lega ha presentato una proposta di legge che prevede il referendum comunale e di quartiere come fondamentale strumento di scelta democratica. Se si chiede attraverso referendum il parere dei cittadini sul passaggio di un tram in una via, perché non si dovrebbe fare altrettanto per una struttura ben più impattante sulla vita di un quartiere come una nuova moschea? Occorre poi dire un’altra verità: secondo uno studio del ‘Centro Studi Peirone’ sull’islam in Piemonte solo il 4-5% dei musulmani frequenterebbe in realtà le moschee; di contro, il 26% dei musulmani del Piemonte dichiara di frequentarle. Il gioco è evidente, ma è anche culturalmente spiegabile: nell’islam la religione si confonde ed anzi coincide con la politica. Così la moschea, in un Paese di ‘infedeli’, diventa strumento di rivendicazione politica e culturale, più che indispensabile luogo di culto.
Non credo, in conclusione, che il voto svizzero vada valutato come voto di paura, ma semmai come voto di autocoscienza e di riaffermazione di un’identità. Bisogna infatti sfatare la tetra profezia secondo cui l’immigrazione sarebbe un fenomeno ineluttabile a cui rassegnarsi. Il voto svizzero dice semmai il contrario e di come sia invece possibile, ed anzi doveroso, difendere la nostra identità attraverso i nostri strumenti di civiltà, ovvero quelli della democrazia. Occorre però che le forze politiche tengano in maggior conto le istanze dei nostri cittadini, per evitare poi di stupirsi quando questi si esprimono liberamente.
ROBERTO COTA
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