Il dibattito politico di questa settimana si è giustamente concentrato sul voto referendario svizzero che ha decretato uno stop alla costruzione di nuovi minareti sul territorio elvetico. Stupisce, soprattutto chi da sempre è abituato ad ascoltare la gente, la sorpresa destata dall’esito di questo voto, che ha in realtà ribadito un concetto molto semplice: il legittimo diritto degli svizzeri di poter essere ancora padroni a casa loro. Un voto che si spiega anche come difesa di un’identità messa oggettivamente sottopressione da decenni di massiccia immigrazione. Giusto quindi che con questo referendum si siano voluti mettere dei paletti nei confronti di chi è arrivato per ultimo. La pacifica convivenza si assicura anche con regole chiare: chi arriva nelle nostre città non può pensare di imporre la propria cultura dove da secoli esistono altre tradizioni ed altri costumi.
C’è chi ha osservato che i cantoni svizzeri dove ha vinto il ‘Si’ ai minareti siano proprio i cantoni dove i minareti ci sono già: non per caso saranno le zone a maggiore presenza musulmana? Ed è proprio questo è il secondo dato su cui occorre riflettere attentamente, perché significa che laddove l’islam avanza, poi, alla lunga, detta legge. E’ bene pensarci due ed anche tre volte, quindi, prima di parlare in libertà di concedere la cittadinanza facile o il voto ai non cittadini qui a casa nostra, anche perché il giorno dopo, ad esempio in alcuni quartieri di Torino, avremmo il partito islamico al governo. E’ certamente semplice fare i ‘buonisti’ in un salotto televisivo, un po’ più complicato diventa invece vivere sulla propria pelle le conseguenze di questo ‘buonismo’. La Lega continua a credere che la politica debba preoccuparsi di dare prima risposte ai nostri cittadini e poi, in un secondo momento, pensare eventualmente a temperare le istanze dei nostri con quelle degli ultimi arrivati. Questo crediamo sia un modo giusto di fare politica, benché qualcuno continui a voler forzare le cose, ragionando a fattori invertiti.
Sull’edificazione a casa nostra di luoghi di culto di religioni che non abbiano stipulato accordi con lo Stato, la Lega ha presentato una proposta di legge che prevede il referendum comunale e di quartiere come fondamentale strumento di scelta democratica. Se si chiede attraverso referendum il parere dei cittadini sul passaggio di un tram in una via, perché non si dovrebbe fare altrettanto per una struttura ben più impattante sulla vita di un quartiere come una nuova moschea? Occorre poi dire un’altra verità: secondo uno studio del ‘Centro Studi Peirone’ sull’islam in Piemonte solo il 4-5% dei musulmani frequenterebbe in realtà le moschee; di contro, il 26% dei musulmani del Piemonte dichiara di frequentarle. Il gioco è evidente, ma è anche culturalmente spiegabile: nell’islam la religione si confonde ed anzi coincide con la politica. Così la moschea, in un Paese di ‘infedeli’, diventa strumento di rivendicazione politica e culturale, più che indispensabile luogo di culto.
Non credo, in conclusione, che il voto svizzero vada valutato come voto di paura, ma semmai come voto di autocoscienza e di riaffermazione di un’identità. Bisogna infatti sfatare la tetra profezia secondo cui l’immigrazione sarebbe un fenomeno ineluttabile a cui rassegnarsi. Il voto svizzero dice semmai il contrario e di come sia invece possibile, ed anzi doveroso, difendere la nostra identità attraverso i nostri strumenti di civiltà, ovvero quelli della democrazia. Occorre però che le forze politiche tengano in maggior conto le istanze dei nostri cittadini, per evitare poi di stupirsi quando questi si esprimono liberamente.
ROBERTO COTA
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