venerdì 11 dicembre 2009

Piemonte e regionali - 11 Dicembre 2009 - "il Giornale del Piemonte"

L’orizzonte delle elezioni regionali è ormai vicino. E l’attuale presidente Mercedes Bresso, da scaltra e navigata politica, è perfettamente conscia del fatto che i piemontesi non abbiano affatto gradito questi cinque anni con lei alla guida della Regione. Sono stati infatti anni piuttosto inconcludenti, grigi, senza entusiasmo, senza slanci , una stanca routine senza soluzione di continuità. In altre parole, è accaduta la cosa peggiore che potesse capitare alla nostra regione: si sono sprecate occasioni che sarebbero potute servire per rinforzare il Piemonte, per farci affrontare meglio la crisi ed per essere più reattivi nel cogliere le opportunità di ripresa. Per fare della facile demagogia politichese, si potrebbe dire che la compagine Bresso è stata anche litigiosa in questi anni, perché molto eterogenea e perché composta da partiti con idee opposte su tanti temi importanti. Ma dire questo sarebbe riduttivo. La verità è invece che, con estremo cinismo, chi ha non governato e non sta governando il nostro Piemonte ha scelto consapevolmente fin dall’inizio questa opzione: già dalla scorsa campagna elettorale il centro sinistra ha infatti scelto deliberatamente il potere al posto del programma, l’immobilismo invece delle riforme. La Bresso e suoi alleati hanno stipulato un vero e proprio ‘patto col diavolo’: stiamo insieme a tutti i costi, anche a costo di non governare. E così purtroppo è andata. Ma quanto sembra profilarsi nel centro sinistra oggi pare, se possibile, qualcosa di ancora più scellerato a livello politico, ovvero una riedizione del ‘patto’ del 2005 con l’aggiunta dell’ingresso dell’Udc nel ‘club pro Bresso’. Questa alchimia,che porrebbe Udc e partiti dell’ultra sinistra fianco a fianco, è la certificazione ufficiale del fallimento della Bresso come Presidente della Regione, oltre che il termometro migliore della sua grande paura per le prossime elezioni: se avesse ben governato, se fosse ben voluta dai cittadini e vicina alle vere istanze dei piemontesi, che bisogno avrebbe Bresso di mettere insieme una simile congrega? Domande retoriche davvero queste, perché tutti in realtà conoscono le risposte. Credo comunque sia sufficiente mettersi per un minuto nei panni di un elettore dell’Udc per capire che il giochetto non funzionerà e che gli elettori del partito di Casini non supporteranno la compagine Bresso. Un bel dilemma sarà anche quello che dovranno affrontare i dirigenti scudo-crociati piemontesi: andare con Bresso e ‘compagni’ significherà infatti perdere un sacco di voti. Sarà comunque molto interessante vedere in campagna elettorale i vertici Udc alla prese col ‘no alla Tav’, ‘no al nucleare’, no al sostegno degli istituti privati, no all’intervento privato nella Sanità, o coi sì alla pillola abortiva, ‘sì al Gay Pride’, sì al sostegno di famiglie diverse da quella naturale e, magari, anche sì ad un Piemonte capofila sulle procedure di eutanasia. Pdl e Lega hanno dimostrato nelle ultime tornate elettorali di essere invece una squadra vincente e se non altro compatta sui temi politici di fondo, una compagine capace di proporsi con programmi chiari e poi di governare con buon senso. In questo anno e mezzo di governo , del resto, sono state fatte tanto cose: prima pietra del federalismo fiscale ; stretta sull’immigrazione clandestina ed azzeramento degli sbarchi; pacchetto sicurezza con maggiori poteri ai sindaci. Anche su prove difficili come il terremoto in Abruzzo e la crisi economica, i partiti che sostengono questo esecutivo hanno dimostrato serietà, affidabilità e concretezza. Ma la vera arma in più che in Piemonte Lega e centro destra hanno per battere la Bresso credo sia la voglia di cambiare, di riformare, di svecchiare una Regione che oggi è quasi irriconoscibile. Proprio col completamento del federalismo le Regioni non potranno più star sedute e lasciar trascorrere le giornate come ha fatto Mercedes Bresso, ma dovranno darsi da fare il doppio rispetto al passato, perché saranno finalmente padrone del proprio destino.

ROBERTO COTA

venerdì 4 dicembre 2009

Referendum Svizzera su Minareti - "Il Giornale del Piemonte" 4 Dicembre 2009

Il dibattito politico di questa settimana si è giustamente concentrato sul voto referendario svizzero che ha decretato uno stop alla costruzione di nuovi minareti sul territorio elvetico. Stupisce, soprattutto chi da sempre è abituato ad ascoltare la gente, la sorpresa destata dall’esito di questo voto, che ha in realtà ribadito un concetto molto semplice: il legittimo diritto degli svizzeri di poter essere ancora padroni a casa loro. Un voto che si spiega anche come difesa di un’identità messa oggettivamente sottopressione da decenni di massiccia immigrazione. Giusto quindi che con questo referendum si siano voluti mettere dei paletti nei confronti di chi è arrivato per ultimo. La pacifica convivenza si assicura anche con regole chiare: chi arriva nelle nostre città non può pensare di imporre la propria cultura dove da secoli esistono altre tradizioni ed altri costumi.  

C’è chi ha osservato che i cantoni svizzeri dove ha vinto il ‘Si’ ai minareti siano proprio i cantoni dove i minareti ci sono già: non per caso saranno le zone a maggiore presenza musulmana? Ed è proprio questo è il secondo dato su cui occorre riflettere attentamente, perché significa che laddove l’islam avanza, poi, alla lunga, detta legge. E’ bene pensarci due ed anche tre volte, quindi, prima di parlare in libertà di concedere la cittadinanza facile o il voto ai non cittadini qui a casa nostra, anche perché il giorno dopo, ad esempio in alcuni quartieri di Torino, avremmo il partito islamico al governo. E’ certamente semplice fare i ‘buonisti’ in un salotto televisivo, un po’ più complicato diventa invece vivere sulla propria pelle le conseguenze di questo ‘buonismo’. La Lega continua a credere che la politica debba preoccuparsi di dare prima risposte ai nostri cittadini e poi, in un secondo momento, pensare eventualmente a temperare le istanze dei nostri con quelle degli ultimi arrivati. Questo crediamo sia un modo giusto di fare politica, benché qualcuno continui a voler forzare le cose, ragionando a fattori invertiti.

Sull’edificazione a casa nostra di luoghi di culto di religioni che non abbiano stipulato accordi con lo Stato, la Lega ha presentato una proposta di legge che prevede il referendum comunale e di quartiere come fondamentale strumento di scelta democratica. Se si chiede attraverso referendum il parere dei cittadini sul passaggio di un tram in una via, perché non si dovrebbe fare altrettanto per una struttura ben più impattante sulla vita di un quartiere come una nuova moschea? Occorre poi dire un’altra verità: secondo uno studio del ‘Centro Studi Peirone’ sull’islam in Piemonte solo il 4-5% dei musulmani frequenterebbe in realtà le moschee; di contro, il 26% dei musulmani del Piemonte dichiara di frequentarle. Il gioco è evidente, ma è anche culturalmente spiegabile: nell’islam la religione si confonde ed anzi coincide con la politica. Così la moschea, in un Paese di ‘infedeli’, diventa strumento di rivendicazione politica e culturale, più che indispensabile luogo di culto. 

Non credo, in conclusione, che il voto svizzero vada valutato come voto di paura, ma semmai come voto di autocoscienza e di riaffermazione di un’identità. Bisogna infatti sfatare la tetra profezia secondo cui l’immigrazione sarebbe un fenomeno ineluttabile a cui rassegnarsi. Il voto svizzero dice semmai il contrario e di come sia invece possibile, ed anzi doveroso, difendere la nostra identità attraverso i nostri strumenti di civiltà, ovvero quelli della democrazia. Occorre però che le forze politiche tengano in maggior conto le istanze dei nostri cittadini, per evitare poi di stupirsi quando questi si esprimono liberamente.

ROBERTO COTA

venerdì 27 novembre 2009

Giustizia - "Il Giornale del Piemonte" 27 Novembre 2009

In questa settimana è tornata alla ribalta della polemica politica la questione Giustizia. Sul tema esistono molte posizioni, spesso in conflitto tra loro. Se si vuole affrontare col giusto equilibrio l’argomento sarebbe utile ragionare con più attenzione su numeri ed effettive proposte. Il nostro Stato nel 2009 dovrà ad esempio pagare 34 milioni di euro a titolo di indennizzo per processi troppo lunghi. Questo succede quando un processo supera quella che viene definita una ragionevole durata, indipendentemente dal suo esito. La Corte Europea dei diritti dell’ uomo condanna ed il governo paga. Nel nostro sistema circa 180.000 processi penali all’ anno si prescrivono, con una spesa ‘a vuoto’ di circa 80 milioni di euro: in altre parole tale esborso non è collegato ad un effettivo espletamento di un servizio a favore dei cittadini.

Da anni si parla di fare una legge che fissi la durata ragionevole del processo. Oggi la maggioranza presenta una proposta in Senato e, invece di entrare nel merito dell’ argomento, l’opposizione parla di legge eversiva, che servirebbe soltanto a salvare il Presidente Berlusconi. Ma che cosa dice concretamente questa proposta di legge? Che un processo deve durare al massimo sei anni, due per il dibattimento di primo grado,due per l’ appello e due per la cassazione. Se non si rispetta il termine, il processo si estingue. Perchè operi questa regola si deve trattare di reati per i quali è prevista una pena inferiore nel massimo a 10 anni e l’ imputato deve essere incensurato. Si sono poi voluti escludere da questa proposta i reati di particolare allarme sociale, inseriti in una lista per i quali la sentenza può arrivare anche in tempi più lunghi, indipendentemente dalla pena prevista. I partiti che definiscono questa riforma uno scandalo presentarono le stesse norme a più riprese nelle passate legislature. L’ Associazione Nazionale Magistrati ed il Consiglio Superiore della Magistratura insorgono, ma in passato avevano taciuto .Questo accade perché la proposta arriva dalla maggioranza che sostiene Berlusconi, arrivasse invece dalla sinistra i problemi scomparirebbero. Nel dibattito politico ciascuno può avere le proprie idee, quella che pero’ non è accettabile è l’ ipocrisia e la sistematica falsificazione della realtà a seconda della convenienza politica. I politici che si comportano in questo modo non fanno un buon servizio alla politica ed alla fine perdono credibilità nei confronti dei cittadini .Quanto agli organismi rappresentativi della magistratura, che con le loro posizioni lasciano scontenti molti magistrati impegnati su tanti fronti difficili,in un sistema normale, dovrebbero essere i primi ad interrogarsi sul perché i processi vadano così a rilento. Ci si lamenta infine della mancanza di risorse, ma si ci si dimentica di dire che il nostro sistema giudiziario costa ogni anno 7,4 miliardi di euro contro, per esempio, i 6,07 della Gran Bretagna.Allora qual’ è il problema?La scarsità delle risorse o una produttività bassa che si traduce in un servizio negato? La verità è che il Paese ha bisogno di riforme , non può più aspettare e tutti dovrebbero essere interessati.

venerdì 20 novembre 2009

Vertice FAO - "Il Giornale del Piemonte" 20 Novembre 2009

In settimana a Roma si è svolto il vertice della Fao, un’ occasione, l’ ennesima, per parlare di fame nel mondo e di Paesi poveri. La disponibilità di cibo peri popoli della Terra, oltre che un dramma per i Paesi poveri, è un problema che fatalmente raggiunge anche la nostra regione e che modifica la vita nelle nostre città. Una parte dell’immigrazione che oggi subiamo, infatti, è messa in moto proprio da carestie e miserie. Mettendo da parte buonismi e ipocrisie, occorre essere su questo tema molto chiari ed onesti: non è certo l’immigrazione la soluzione alla piaga della fame nel mondo, soprattutto in un momento come questo in cui, anche a casa nostra, la crisi falcia settimanalmente migliaia di lavoratori. Nel contempo, una continua emigrazione dai Paesi poveri non può che condannare ad un futuro ancora più nero quei Paesi e quei popoli. La storia degli ultimi decenni ci parla di problemi nelle nostre città a causa di un’immigrazione montante da un lato e di declino senza fine dei Paesi poveri dall’altro. Occorre evidentemente bloccare questo circuito vizioso. Ed il nostro Governo, nel proprio piccolo, è riuscito in occasione dell’ ultimo G8 a far stanziare 20 miliardi di dollari per far nascere aziende agricole nei paesi in via di sviluppo. Ma la riforma più radicale ed utile su queste tematiche sarebbe senza dubbio quella di smetterla con l’ ipocrisia e dire con schiettezza che cosa fa, o meglio, non fa la Fao. L’ organizzazione (Food and Agricolture Organization) è un agenzia specializzata delle Nazioni Unite, che ha lo scopo di aiutare ad accrescere i livelli di nutrizione, aumentare la produttività agricola,migliorare la vita delle popolazioni rurali e contribuire alla crescita economica globale; in realtà, la Fao è uno dei più grandi carrozzoni del pianeta. Anche le statistiche danno da pensare: muore per fame un bambino ogni 5 secondi, quando basterebbero 0,27 euro al giorno per salvarlo. In compenso la Fao ha un budget di 1,8 miliardi e più della metà delle risorse va in spese di struttura:ci lavorano 4 mila funzionari che per metà stanno a Roma a godersi stipendi da 8 mila euro esentasse al mese. Ai Paesi bisognosi vanno meno di un terzo delle risorse complessive. Ai fruitori finali, probabilmente, ancora molto meno, stante la grande corruzione che regna in alcuni Paesi. Inoltre molti Paesi dell’Africa, dopo decenni di presenza sul loro territorio delle varie agenzie Onu, invece che risollevarsi, sono oggi diventati dipendi cronici di questi organismi, senza i quali non saprebbero veramente più come campare. Immigrazione e fame nel mondo sono due drammi che probabilmente hanno una medesima ed unica cura: una vera politica di aiuti ai poveri nei Paesi d’origine, con severi e seri controlli delle risorse là impiegate. La Lega propone ad esempio un accordo generale per destinare una parte della tassazione sulle transazioni internazionali a concreti progetti di sviluppo nel Terzo Mondo. Forse con interventi di questo tipo si potrà dare una speranza di vita migliore a coloro che continuano ad essere vittime del miraggio dell’emigrazione. 

venerdì 13 novembre 2009

[Il crollo del Muro] - Articolo per "Il Giornale del Piemonte" del 13 Novembre 2009

Il 9 novembre 1989 cominciarono a cadere, inesorabilmente, i primi pezzi del muro di Berlino. Sono passati appena venti anni, ma da allora è cambiata la storia, la geografia,la politica, l’ economia,il modo di pensare. E’ cambiata la storia, perché il crollo di quel simbolo della ‘Guerra fredda’ ,impensabile fino a qualche anno prima,ha fatto sì che l’ impostazione del mondo basata su un equilibrio Usa/Unione Sovietica fosse superata. Ad un confronto sostanzialmente semplice, di due blocchi contrapposti, è seguito uno scenario molto più complesso, composto da numerose realtà molto diverse tra loro e spesso culturalmente ed economicamente in conflitto. Oggi,ad esempio, ci troviamo in modo diretto a fare i conti con la Cina e con i Paesi islamici. E’ cambiata la geografia, è cambiato lo scenario internazionale e sono mutate le relative dinamiche . Mai nella Storia si sono modificati in così poco tempo i contorni ed i colori delle cartine.

Dal quel fatidico 9 novembre è cambiata la politica. C’è stato un superamento delle ideologie, per cui da un lato in Occidente e nei Paesi ex Urss il comunismo formalmente è sparito; dall’ altro lato, invece, la sinistra ha letteralmente perso la bussola, anche con riferimento a valori che avrebbero dovuto caratterizzarla in un contesto democratico. Ne abbiamo un lampante esempio in casa nostra, dove una sinistra ex comunista, completamente digiuna ed anzi storica avversaria della socialdemocrazia europea, ha dovuto reinventarsi ‘socialdemocratica’. Ma le lacune di questo travaglio, mai seriamente affrontato dagli ex Pci, oggi presentano il conto. Per non parlare della scelta folle della sinistra di barattare i principi della difesa del lavoro e della produzione, con la difesa ad oltranza di immigrazione e globalizzazione.

Con la caduta del Muro è cambiata l’economia .L’indiscriminata apertura dei mercati finanziari, non suffragata da un adeguato sistema di regole, ha portato allo sviluppo di un’economia finanziaria slegata dal lavoro e dalla produzione .

Dal 1989 è cambiato anche il modo di pensare. I modelli culturali sono saltati, uniformandosi ad un modello di tipo occidentale. Questo è stato positivo perché ha portato ad uno sviluppo della democrazia nei Paesi ex sovietici, ma molta strada deve essere compiuta dai Paesi dell’Est rispetto alle speranze di sviluppo che il crollo del Muro avevo suscitato. Non a caso gran parte dell’immigrazione che abbiamo avuto in questi ultimi anni arriva proprio da questi Paesi.

Oggi infine dobbiamo riscontrare sul nostro territorio un inedito scontro tra modelli culturali e cioè tra quello occidentale e quello islamico. A Torino città, quanto nei piccoli Comuni delle nostre valli, l’ Islam avanza. A volte in modo silenzioso, a volte in modo più arrogante. Una cosa è comunque certa: l’Islam con cui ci troviamo oggi a fare i conti qui in Piemonte mostra un’ aggressività senza precedenti, che potremmo affrontare soltanto avendo chiara l’esigenza di difendere la nostra identità. La democrazia e la libertà conquistate faticosamente attraverso secoli di guerre e rivoluzioni vanno infatti difese e consegnate integre alle generazioni future. Il crollo del Muro non dovrà essere vano.  
 

ROBERTO COTA 
 

venerdì 6 novembre 2009

Articolo per "Il Giornale del Piemonte" del 6 Novembre 2009

La Lega Nord viene spesso etichettata, semplicisticamente, come un Movimento politico euroscettico. In realtà il Carroccio respinge l’idea di un’Europa che, atteggiandosi con cieca arroganza a super-Stato, calpesta con non curanza le tradizioni millenarie dei Paesi e dei popoli che di fatto la formano. Un chiaro esempio di questo atteggiamento inaccettabile lo tocchiamo con mano oggi, quando vediamo un’Europa dimentica dei problemi delle nostre aziende e della tutela dei nostri prodotti, ma attentissima a censurare l’ esposizione dei Crocefissi nelle nostre scuole attraverso un pronunciamento della Corte Europea per i diritti dell’ uomo. Secondo i giudici di questa Corte il Crocefisso non deve essere esposto, perché potrebbe urtare la suscettibilità di chi non si riconosce in questo simbolo. Fortunatamente si tratta di un pronunciamento non operativo ed appellabile, su cui il Governo ha intenzione di fare ricorso. Tra l’altro non è possibile imporre direttamente la rimozione del Crocifisso,bensì è prevista soltanto una multa a carico del nostro Governo per supposta violazione dei diritti umani. Il pronunciamento ha però un peso e un significato simbolico indicativo del tipo di Europa che non vogliamo. E’ assurdo infatti che sia la Corte di Strasburgo a dirci quello che dobbiamo fare ed è ugualmente assurdo che dei giudici, che vivono forse in una realtà diversa da quella dei comuni cittadini, non comprendano cosa rappresenti il Crocifisso per la nostra Comunità. Esso, infatti,non è il simbolo di una religione qualunque, ma è l’emblema della nostra identità . Che fastidio può dare questo simbolo?A questa stregua lo stesso fastidio che può dare incontrare per strada una Chiesa o un monumento artistico direttamente o indirettamente riconducibile al cristianesimo. Allora dovremmo abbattere tutti i nostri monumenti , togliere centinaia di croci dai nostri monti, cancellare la nostra storia,rinnegare la nostra cultura?! Questi burocrati hanno il senso di quello che fanno ? Che insegnamento pensano di dare con queste sentenze accademiche fuori dalla realtà? Richiamandosi alla necessità di tutela di non meglio identificati diritti altrui, si cerca in ogni modo di sradicare la nostra cultura e la nostra identità. Questo è un gioco molto pericoloso, soprattutto oggi che abbiamo a che fare con una cultura,quella islamica che, a differenza della nostra,non solo dimostra di sapersi difendere, ma anche di saper attaccare.

Un qualcosa di positivo, dopotutto, la sentenza di Strasburgo l’ha suscitato. Mi riferisco alla reazione caparbia di questi giorni di tanti, soprattutto semplici cittadini, che si sono schierati tutti a difesa di ciò che rappresenta il Crocifisso. Una maggioranza questa che è solitamente silenziosa, ma che davanti ad una sentenza inaccettabile non ha potuto far altro che reagire. Una ribellione pacifica che è cifra della assoluta fallacia della sentenza della Corte Europea, ma che è anche una speranza per il futuro sull’Europa che vogliamo. Nel weekend del 14-15 novembre prossimo la Lega sarà in tutte le piazze del Piemonte e del Nord con i propri gazebo per raccogliere firme a sostegno del ricorso del Governo contro la sentenza di Strasburgo sul Crocifisso.  
 
 

ROBERTO COTA